L’impero dei segni: Facebook, narrazioni e significazioni. Decifrazioni di una pornografia semiologica.

Pubblico di seguito il testo del mio intervento al seminario Italia Agra del maggio 2011. Il cortometraggio 1994 è da ritenersi parte integrante del seguente lavoro.

L’impero dei segni: Facebook, narrazioni e significazioni. Decifrazioni di una pornografia semiologica.

 

Di Giovanni di Benedetto

 

I. Introduzione.

Nel corso della giornata introduttiva dedicata al “Secolo tamarro”, tra le varie riflessioni riguardanti quel particolare prodotto della società contemporanea che è l’individuo tamarro, è emerso come uno dei tratti caratterizzanti di questa categoria sociologica sia l’ostentazione. Ostentazione di determinate caratteristiche, prima tra tutte, un’ostentazione della propria corporalità. Ma il “tamarro” rappresenta pur sempre solo una categoria parziale del seculum. Interessante è allora osservare, analizzare – partendo da questa caratteristica comune: l’ostentazione – cosa di questa tendenza particolare si propaga nel resto del seculum, della società, per diventare generale. L’obiettivo è quello di delineare alcuni dei tratti che compongono il secolo tamarro, la società tamarra. Come la società medievale secondo Curtius aveva elaborato la metafora del libro-come-mondo attraverso la quale rappresentarsi dunque ridursi dunque leggersi, così la società tamarra ha trovato in quello che è lo stadio ultimo del web 2.0, vale a dire il social network ed in particolare Facebook, la propria possibilità per compiere una rappresentazione di se stessa. Il discorso dunque si varrà di esso facendolo assurgere a metafora del secolo tamarro, vale a dire utilizzandolo come strumento epistemologico attraverso il quale tessere alcune proposte interpretative.

L’intervento vuole concentrarsi, dunque, partendo dalle riflessioni di Roland Barthes e sulle nozioni semiologiche di significante, significato e segno, sui processi narrativi, di significazione e di decifrazione, proprie del mezzo attraverso il quale il seculum tamarro, la società tamarra, ha trovato la sua modalità di rappresentazione tramite una rinnovata metafora del libro-come-mondo: Facebook.

2. Io non sono io: Io è un altro: colui di cui narro Io.

L’individuo tamarro ostenta la propria corporalità, dicevamo. In particolare ostenta la propria corporalità privata, intima: gli attributi fisici. Il secolo tamarro (di qui in poi società tamarra per un’esigenza espositiva) ostenta anch’esso qualcosa di privato: quella serie di elementi che codificano la cosiddetta “vita privata”. Facebook allargando in maniera decisiva il valore semantico riservato alla parola “amico” permette appunto questo tipo di operazione: l’ostentazione della propria vita privata, vale a dire, l’ostentazione di sé, della propria individualità. Ma l’allargamento semantico della parola “amico” è in realtà una riduzione: da amico a contatto, termine che ha in questo caso quasi il valore di una metafora: un contatto elettrico attraverso il quale collegarsi ad una rete. La società tamarra ostenta dunque la propria vita privata inserendola in un intricato complesso di significazioni. Una rete di significazioni.

Se l’individuo tamarro ostenta se stesso per affermarsi nella società, la socialità tamarra ostenta l’individuo per affermarne l’individualità. Affermazione che avviene col tramite di una narrazione. Inesperti Antoine Roquentin, gli individui della società tamarra colgono tuttavia nella narrazione l’unico strumento per legare insieme le cose della vita e attribuire loro un senso. E come il Roquentin de La nausée di Sartre non possono che inverare il loro “progetto” che in un libro: un facebook. Tuttavia l’individualità affermata all’interno della società tamarra è una individualità volta al negativo: un’individualità in malafede. Questo il paradigma alla base: Io non sono io: Io è un altro: colui di cui narro Io. Io è un progetto gettato in una rete di significazioni attraverso la quale Io si rappresenta migliore di ciò che egli è. L’individualità della società tamarra è capace di rappresentarsi poiché è capace di compiere una narrazione. E, come nel grande romanzo ottocentesco, ci sono tutti gli elementi tematici caratteristici dell’azione narrativa: affetti, arte e politica.. Facebook è il meccanismo congegnato dalla società tamarra per rappresentarsi migliore di quale essa è. È la società che crea un simulacro di se stessa. E come ogni simulacro vorrebbe poter bastare a se stessa. Da qui, fenomeni come il mediattivismo in cui l’azione politica diventa una medit-azione (sulla) politica; la cultura ridotta a cit.(azione) che risponde a quell’esigenza propria del sapere internettiano che preferisce “navigare” in superficie e in orizzontale, piuttosto che in profondità e in verticale.[1]

3. Pornografia del segno.

 

Dunque: perché Facebook e Roland Barthes e la semiologia? Perché Facebook è luogo dell’esercizio del potere dell’“Impero dei segni”. Il virgolettato è dovuto al riferimento al celebre film di Nagisa Oshima, Ecco l’impero dei sensi; in entrambi i casi si tratta di pornografia; nel caso di Facebook, di una pornografia del segno. Non c’è elemento in una pagina di Facebook che non dia inizio ad una attività semiologica, costellata com’è di infinite relazioni tra significanti, significati e segni dei più diversi linguaggi: dalla lingua alla fotografia, dalla musica al cinema passando per la politica. Linguaggi che, lo abbiamo detto nell’introduzione, sono tutti tesi nella tessitura di una narrazione, quella personale. Narrazione della propria specifica esperienza personale sembrerebbe rimandare a quella forma letteraria codificata come “autobiografia”. Eppure, sembra essere più pertinente nel caso di Facebook, parlare di un’altra -grafia: una mitografia. Una Mitografia elaborata con un “intreccio” romanzesco, come annunciavamo nell’introduzione: affetti, arte e politica. Ed ogni azione narrativa (scrivere) sappiamo bene che necessita sempre di una parallela azione ermeneutica (leggere). Il supporto della semiologia ci può offrire la chiave di volta per un’interpretazione di Facebook che inscriva quest’ultimo al di fuori delle semplici questioni di costume. Proviamo dunque ad analizzare Facebook come una struttura narrativa.

3.1. Tag: esibizionismo; voyeurismo.

 

Gli affetti, dicevamo. Da un lato, abbiamo individuato nell’ostentazione dei propri affetti una caratteristica della socialità della società tamarra. Ma dal momento che stiamo parlando di Facebook come di una pornografia del segno, possiamo prendere in prestito due terminologie solitamente associate al porno per individuare due “tag”, due categorie: esibizionismo e voyeurismo. Ci si mette in mostra e si è liberi di osservare da un buco della serratura di quindici pollici dalla risoluzione di 1440×1900 pixel. Dunque l’ostentazione diviene esibizione. Esibizione. Isoliamo a dovere il termine. In inglese varrebbe “play”. But “life is a play” and “the world is a stage”. Ma senza dover necessariamente ricorrere all’inglese, anche l’italiano permette di attribuire alla parola “esibizione” la doppia valenza di “mostra di sè” e “recita”. Dunque, Facebook diviene il luogo dove, esercitando una esibizione di sé tesa ai fini di una (ri)scrittura della propria vita, si costruisce una forma di narrazione che si situa a metà strada tra la recita e il racconto come opera aperta. Si teatralizza la propria vita. Ma, recitare è indossare i panni di un altro, confondere i propri tratti con quelli di una maschera: Io non sono Io: Io è un altro: colui di cui narro Io. Ricorda qualcosa? Si mente a se stessi per meglio mentire agli altri per meglio essere accettati dagli altri. La malafede è lo statuto fondativo della socialità della società tamarra. La tessitura della propria rete di contatti va di pari passo con la tessitura della propria narrazione.

3.2.  Avatar, persona, personaggio.

La virtualità di un social network come Facebook, è cosa ben più complessa di quella cui il web ci aveva abituato. Il concetto ormai obsoleto di “avatar” che sosteneva l’ancien règime del web quando ancora non era 2.0, è qualcosa di non più applicabile al sistema-Facebook. Un avatar era essenzialmente un simbolo, qualcosa che rimandava ad altro da sé a partire da un’immagine. Su Facebook invece, ci si riappropria della propria individualità e della propria immagine; ci si riappropria del proprio nome e del proprio cognome abolendo l’username e della propria immagine abolendo per l’appunto l’avatar. Con questi due semplici gesti ecco che di colpo la realtà virtuale diviene meno virtuale e sempre più sola realtà. Tuttavia, sebbene tra le informazioni di un profilo di Facebook rientrino molte delle informazioni che costituiscono la nostra carta d’identità, il passaggio non è da avatar a “persona” ma da avatar a “personaggio”. Ora, che cos’è un personaggio? Prendiamo in prestito una veloce e forse esauriente definizione di Angelo Marchese:

Come unità di significazione il personaggio è una forma vuota che si riempie di senso (si semantizza, direbbe Lotman) man mano che il racconto e il lettore mette in atto le procedure di riconoscimento, memorizzazione e ricostruzione che lo portano a decifrare il testo. […] Il nome e le diverse attribuzioni e descrizioni possono avviare il processo ermeneutico su isotopie interne al racconto stesso.[2]

Dunque: 1) il personaggio è una forma vuota che si riempie di senso; 2) è il lettore a mettere in atto questo processo di semantizzazione; 3) il nome, le diverse qualità e attribuzioni e le descrizioni possono dare avvio al processo ermeneutico. Le specificità strutturali di Facebook consentono di adottare il medesimo processo di costruzione del personaggio: una forma vuota – la pagina web di un profilo personale appena creato – viene riempita di senso; viene riempita di senso con una mole immensa di significanti, dunque significati, dunque segni; le attribuzioni e le descrizioni che costituiscono questi segni – affetti (es. foto), arte (es. citazioni, canzoni, spezzoni di film), e politica – fanno in modo che il lettore – l’amico (il contatto) – dia inizio a quello che è un vero e proprio gioco semiologico fatto di riconoscimenti e decifrazioni dei segni lanciati dal narratore. Ma narratore e narrazione in Facebook sono la stessa cosa; c’è totale coincidenza tra colui che emette il discorso e il discorso stesso. Per di più, come in un romanzo di Balzac, l’habitus è già il personaggio. Il lettore è sì libero di interpretare i segni; ma è una libertà vincolata in tutto e per tutto dalle qualità e dalle descrizioni che il personaggio/narratore/autore si è attribuito da sé.

4. Il secolo tamarro: una nuova socialità.

Ora. Il problema è che se pur abbiamo definito quella di Facebook una realtà virtuale i cui pesi della bilancia sono sempre meno tendenti al virtuale, essa resta pur sempre qualcosa che realtà, realtà vissuta intendo, non è. Ma, dal momento che secondo gli ultimi rilevamenti[3], nella fascia di età compresa dai 18 ai 29 anni (quella  in cui la socialità è tratto caratteristico) ben il 93% degli italiani possiede un profilo Facebook, è evidente che quello di Facebook è pronto a diventare quasi un calco, del mondo. Un surrogato del mondo. Un simulacro lo avevamo definito anche, all’inizio della discussione. Un “anti-mondo” che crea nel suo relazionarsi col “mondo” una conoscenza a priori della persona col tramite del suo personaggio. La conoscenza dell’altro, non è più qualcosa che avviene dopo aver intessuto con egli un rapporto. La conoscenza dell’altro, avviene prima, a partire da quelle attribuzioni e descrizioni affidate al proprio personaggio che, “colmo di segno” sarà in grado di essere autosufficiente e muoversi anche tra le vie del mondo. Le persone come conseguenza dei personaggi. La questione apporta una rivoluzione antropologica radicale delle modalità della socialità. Relazionarsi con una persona implica un relazionarsi anche col suo personaggio, il quale densamente semantizzato lascia i segni e finanche sorpassa l’individuo reale. È questa l’espressione del seculum tamarro: la socialità della società tamarra. Una socialità che associa ad essa i seguenti tag: ostentazione, esibizionismo, voyeurismo, malafede. Una socialità che mette in contatto artifici quali i personaggi piuttosto che le persone. Una socialità nevroticamente compulsiva nel suo desiderio di sottomettere il mondo ad una visione ed una leggibilità che, rinnovando la metafora del libro-come-mondo, genera sì racconto, ma non letteratura. Genera quella che abbiamo definito una pornografia del segno. Una socialità, infine, in cui l’ausilio di eccitanti semiologici non produce stimolazione ma iper-stimolazione e la conseguente atrofizzazione degli impulsi del desiderio. Del desiderio di conoscere l’altro. L’uomo.


[1]                Le metafore spaziali permettono una distinzione esemplificativa tra il sapere internettiano e la conoscenza  offerta da un libro tradizionale: il sapere di Internet si muove in orizzontale. Basti pensare alla configurazione di una semplice pagina web, nella quale il multitasking è soprattutto questione spaziale: le schede di navigazione si aprono appunto in orizzontale. Non tralasciando di notare come una parola chiave del linguaggio di Internet, link, significhi collegamento, o meglio, data la natura sua natura ipertestuale, concatenazione di collegamenti. Diversamente un libro, pur dovendosi sfogliare orizzontalmente da sinistra verso destra, ha una metafora spaziale della conoscenza di tipo verticale: dall’esterno all’”interno” agendo nelle profondità dello spirito (“profondo”, prima che essere un aggettivo è prima di tutto una metafora (spaziale anch’essa per di più) con la quale ci si può riferire ad un libro.

[2]    A. Marchese, La presentazione del personaggio, in L’officina del racconto, Milano, Mondadori, p. 207.

[3]    http://www-958.ibm.com/software/data/cognos/manyeyes/vis/FullScreen/fullscreenvisualization.html?id=files%2Fthumbnails%2Fbd785416-e72d-11df-bec7-000255111976.wm.png&visId=bd99130ee72d11dfbec7000255111976

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3 Risposte to “L’impero dei segni: Facebook, narrazioni e significazioni. Decifrazioni di una pornografia semiologica.”

  1. dozeq Says:

    Interessante analisi semiologica. Io mi ero interessato di piu’ ad un’indagine psicologica quando ho trovato qualcuno che l’aveva gia’ fatta: http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2012/05/is-facebook-making-us-lonely/8930/#.T4_2Z8gk3pM.twitter un po’ lunghetta e in inglese ma di certo illuminante. Senza contare che mi ha fatto risparmiare il tempo che avrei impiegato per scriverla, tempo che ho usato per aggiornare i miei status 😉 un saluto.

  2. jan.reister@gmail.com Says:

    Interessante analisi, non sono sicuro di condividerla fino in fondo, ma l’idea del tamarrismo (che è anche dentro ognuno di noi a questo punto) è molto interessante.

  3. Giovanni di Benedetto Says:

    La ringrazio. Mi farebbe piacere conoscere in cosa non è completamente d’accordo. Questo intervento l’ho scritto un anno fa e molte cose sono in effetti già cambiate.

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